Il passato Expo, con tutte le sue polemiche (a volte ideologiche e provinciali allo stesso tempo), è stata un'occasione di esperienze comunicative diversificate e concentrate in poco spazio/tempo (a parte le code di attesa). Expo è stato un interessante libro da sfogliare, una vetrina caleidoscopica da cui farsi ammaliare per chi lavora/ragiona/costruisce sulla comunicazione (e chi ne è immune?), in positivo e in negativo, ovviamente.
Alcuni padiglioni, come quello UK, invitavano al gioco e al mettersi in gioco. Se l'adulto considera questa modalità una cosa da bambini (sotto-testo: che lui ha superato, da cui non ha nulla da trarre), l'intera esperienza si svuota, si avvilisce, si offre al giudizio tanto sommario quanto fantozziano: "Un'emerita boiata...". Credo che ogni occasione laboratoriale di messa in gioco offra infiniti punti di vista con cui confrontarsi, esercitandoci a rinunciare alle troppe (false) sicurezze che tanto ci confortano (e ci isolano). Da questo padiglione provo a leggere alcuni spunti progettuali per laboratori per bambini, ragazzi e adulti...
L'ingresso al padiglione (sostanzialmente tutto all'aria aperta, ma cintato) è un corridoio circondato da pannelli di legno alti ca 3-4 mt (materiale facilmente recuperabile e riciclabile) in cui fori di diverse dimensioni attraggono e interrogano lo sguardo. I buchini sparsi evocano un lavoro di foratura (animale? meccanica?) che svela spessore e un buio nell'altrove.
Pensate alla passione che hanno i bambini più piccoli per tutto ciò che è buco, fessura, piccolo spazio circoscritto (le tanto amate prese della corrente...) in cui infilare sguardo e materia. Prime prove pratiche di esplorazione che non finiscono mai, se si resta in ascolto della propria curiosità bambina: "Cosa/chi c'è dentro/dietro/oltre?".
Pensate alla passione che hanno i bambini più piccoli per tutto ciò che è buco, fessura, piccolo spazio circoscritto (le tanto amate prese della corrente...) in cui infilare sguardo e materia. Prime prove pratiche di esplorazione che non finiscono mai, se si resta in ascolto della propria curiosità bambina: "Cosa/chi c'è dentro/dietro/oltre?".
Lo sguardo, dopo aver vagato sui buchini sparsi, si lascia attrarre dalla ripetizione ordinata ed evocativa. Anche se sono fori rotondi (non esagonali) la loro disposizione è tale che noi li percepiamo come il segno delle arnie delle api. I forellini ordinati hanno un messaggio per me, segnalano una presenza! Questo è un esempio efficace per ragionare sulla percezione visiva di ciascuno, sulla necessità umana di riconoscere un ordine, un pattern, e di sperimentare percorsi di sperimentazione circa l'apprendimento visivo dei più piccoli.
"L'atto percettivo dà origine a entità, unità, strutture rappresentative, la cui manipolazione contraddistingue il comportamento mentale umano ed è alla base della nostra interazione con la realtà e perciò di qualsiasi nostro comportamento". A. Argenton, Arte e cognizione. Introduzione alla psicologia dell'arte, Raffaello Cortina Editore.
"L'atto percettivo dà origine a entità, unità, strutture rappresentative, la cui manipolazione contraddistingue il comportamento mentale umano ed è alla base della nostra interazione con la realtà e perciò di qualsiasi nostro comportamento". A. Argenton, Arte e cognizione. Introduzione alla psicologia dell'arte, Raffaello Cortina Editore.
Infine i fori più grandi, quelli più radi, ad altezza di occhio adulto e di occhio bambino. I fori della sorpresa, della promessa mantenuta e del racconto!
Credo che sia interessante sottolineare come il racconto qui sia affidato a una logica opposta al widescreen che ci pervade e ci immerge/sommerge. Non è una considerazione polemica, ma vorrei sottolineare le opportunità di concentrazione e di apprendimento (sull'oggetto che guardo e su di me come soggetto fruitore) che offre una visione piccola, estremamente intima, necessariamente scelta e voluta, tutta da scoprire, quasi da ladri (non è similare allo spiare la vita degli altri attraverso il buco della serratura?). Ancora una volta mi sento di sottolineare l'opportunità educativa di un'esperienza che è resa fattibile dalla progettazione, ma non facile/gratis/obbligata.
Il foro attraverso il quale seguire il racconto analogico (non ricordo se c'era anche una parte di suono) concentra lo sguardo, esercita la concentrazione e la messa a fuoco. Pensiamo a quando guardiamo attraverso un cannocchiale un punto lontano e lo mettiamo a fuoco. Se ci avviciniamo circoscriviamo maggiormente ciò che guardiamo, non è solo una questione di lenti attraverso cui guardare, ma della nostra capacità di recepire le informazioni. Se vedessimo tutto a fuoco a distanza di chilometri ne resteremmo storditi: troppe informazioni tutte insieme. Sostanzialmente non catalogabili, né utilizzabili, quindi inutili. Il guardare attraverso il foro ci riporta a una visione a misura di occhio umano e a favore dell'intelligenza che si colloca e si orienta.
E dal lavoro operoso dell'ape (e dalla pazienza di seguirne il racconto) nasce un frutto...
Continua...
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