Un'altra opportunità di esperienza - in chiave laboratoriale - che ha offerto Expo 2015 (la prima è riportata qui) è intorno alla sensorialità del cibo. Una sensorialità che supera le barriere linguistiche, anche se non sempre quelle olfattive-culturali (soprattutto di noi occidentali sottovuoto). Di seguito provo a riportare alcuni esempi, valutandone l'efficacia, pensandoli, soprattutto, per eventuali laboratori per i bambini e ragazzi (parleremo ancora di cibo dopo l'abbuffata 2015?), cercando di rispondere alla domanda "Come intrecciare in un laboratorio cibo e sensi?".
È di moda parlare di sensorialità nei laboratori, ma questo non sempre aiuta ad approfondire il significato e le pratiche, a volte serve solo a svuotare e a inaridire parole preziose. Dare spazio alla comunicazione attraverso i sensi significa mettere al centro il corpo, valorizzare una comunicazione che prevalica il verbale, che lo sposta ai lati dell'esperienza. Quando si è concentrati a guardare, annusare, gustare... non si parla, non si legge, non si ascolta. Tutto se stessi è lì, nell'azione di recepire, di lasciarsi toccare da ciò che è offerto. Basta questo breve accenno per intuire quanto queste siano pratiche profondamente bambine, a volte dimenticate e tradite dall'età adulta.
Le prime due foto sono dei pannelli che hanno caratterizzato il cluster delle spezie. Si tratta di pannelli alti tutto l'edificio ricoperti di spezie e fissate con della resina, esposti a sole e intemperie, ancora odorosi a fine ottobre. Questa modalità molto semplice di offrire un'esperienza mi ha affascinato: prima di tutto coinvolge la vista per la texture che compongono infiniti fiori di anice stellato addensati uno all'altro. Ricordano un arazzo, un prato, uno sconfinato barattolo delle spezie, la visione di una città dall'alto... i tanti vicini, i tanti tutti diversi e tutti uguali, compongono un piacere sensoriale, come ci ha raccontato il film Il meraviglioso mondo di Amelie. Da guardare, da toccare e da annusare.
Un'altra modalità interessate l'ho trovata nel padiglione della Turchia. Si tratta ancora di spezie un po' perché si conservano a lungo (a differenza del resto del cibo che facilmente si deteriora) e un po' perché sopperiscono col loro profumo alla necessità di essere gustate-consumate e, quindi, riescono a non finire, a essere per tutti.
La soluzione, oltre a essere abbastanza semplice da realizzare, racchiude il senso dell'offerta, della condivisione, della custodia generosa. Un paio di mani composte a scodella offrono ai visitatori le spezie della loro terra. Senza usare parole comunicano: "È per te... senti!". Perché questo è un gesto universale che tutti abbiamo ricevuto e donato nell'offrire una meraviglia a chi ci è caro.
Ancora dal padiglione Turchia una soluzione che apparteneva anche alle nostre consuetudini contadine: infilare il cibo su un filo e lasciarlo all'aria ad essiccare. Un antico procedimento di conservazione e, se pensiamo a un laboratorio, un modo per mettere in fila le cose oggetto di osservazione che nel tempo mutano sia nei colori, che nelle consistenze che negli odori (e se possibile anche nei sapori).
Non poteva mancare un riferimento al Children Park, il percorso dedicato ai bambini in cui il corpo era, inevitabilmente, al centro. Le teche che contengono le erbe odorose sono il secondo tempo di una tappa del percorso. Il primo si svolge sotto a delle campane che inglobano la persona e le comunicano un odore che poi va ricercato e individuato nelle teche con le piantine corrispondenti. Mi sembra interessante la realizzazione delle teche: sono trasparenti, permettono alla vista di giungere per prima, ma poi chiedono alla mano di compiere un gesto voluto, di cercare e oltrepassare il buco che permette di accarezzarle-muoverle così che il loro odore possa liberarsi nell'aria e giungere al naso. Il buco nel plexiglass sottolinea l'intenzionalità richiesta per partecipare al gioco, ma dice anche che queste belle piantine sono fragili, hanno bisogno di cura e di delicatezza per spargere il loro dono.
E nel Padiglione Zero tanti tipi di semi messi in vetrina e retroilluminati. Una presentazione che molto si avvicina alla lavagna luminosa (lightbox) che concentra lo sguardo sui particolari, sulle irregolarità e sui ritmi che compongono gli oggetti. Per educare lo sguardo a soffermarsi, a non consumare subito tutto.
"L’occhio è un senso che si addestra, che si educa; lo sguardo ha bisogno di apprendistato e di pedagogia. La storia delle immagini può essere un antidoto al loro spregiudicato uso mediatico" François Rousseau.